Riproponiamo gli interventi di Domenico Gallo e Alfiero Grandi a sostegno della “Proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare” contro l’AUTONOMIA DIFFERENZIATA.

Ancora per pochi giorni (fino al 9 MAGGIO) è possibile firmare, anche dall’estero, la “Proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare”. La soglia delle firme necessarie è stata quasi raggiunta, ma è necessario uno sforzo congiunto finale per essere certi di arrivare al traguardo, anche per la possibile cancellazione di alcune sottoscrizioni che possono risultare incomplete.

E possibile firmare anche ON LINE; bastano 5 minuti ed avere a portata di mano lo SPID che garantisce l’autenticità della firma.

Diffondiamo ovunque questo invito a firmare al più presto a tutti gli interessati, in particolare nelle regioni meridionali che più andrebbero a perdere da questa riforma ispirata dal leghista Calderoli.

La raccolta delle firme avviene anche on line. E’ possibile firmare anche dall’estero seguendo le indicazioni fornite all’indirizzo web del Coordinamento per la democrazia costituzionale

http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/

Il modulo è anche al seguente link:

https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=CDC

Approfondimenti al seguente link:

http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/raccolta-firme-proposta-di-legge/

 

 


NO A QUESTA “AUTONOMIA”. DEMOLIRA’ LA REPUBBLICA – Proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare. FIRMA!!

NO A QUESTA “AUTONOMIA”. DEMOLIRA’ LA REPUBBLICA.

 

di Domenico Gallo

La propensione di questa destra  al governo a demolire i caratteri fondamentali della Costituzione si basa su due progetti: il primo punta alla modifica della forma di governo e della forma di Stato attraverso l’introduzione del cosiddetto presidenzialismo alla francese; il secondo punta a rompere i presidi di eguaglianza e solidarietà che danno corpo all’unità della Repubblica, attraverso la realizzazione della cosiddetta “autonomia differenziata’”, sulla falsariga delle richieste già avanzate da tempo da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Il secondo progetto è quello più pericoloso perché, ove andasse in porto, realizzerebbe una riforma irreversibile, avverso la quale non c’è rimedio alcuno. Se il percorso di una riforma costituzionale sbagliata, ove non approvata con maggioranza dei due terzi nelle due Camere, può essere bloccato dal corpo elettorale con il referendum (come già avvenuto due volte, nel 2006 e nel 2016); se il Parlamento è sempre libero di modificare con la stessa procedura una
riforma costituzionale, ove maturi la consapevolezza della sua insostenibilità; avverso la legge che approvi le intese stipulate fuori dal Parlamento fra il governo e le Regioni non è possibile esperire rimedio alcuno.

Non sarebbe ammissibile il referendum abrogativo, né il Parlamento potrebbe modificare le intese stipulate senza il consenso delle Regioni interessate.

Orbene, la Regione Veneto, la Lombardia e (parzialmente) l’Emilia~Romagna, in preda a una bulimia di potere, rivendicano l’attribuzione della competenza
piena su tutte le 23 materie per le quali l’articolo 117 della Costituzione ha disposto che le Regioni abbiano competenza legislativa concorrente con lo Stato.

Come se non bastasse, queste Regioni rivendicano anche quelle materie di competenza esclusiva dello Stato come le norme generali sull’istruzione e la tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Orbene, la crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia e dalle conseguenze della guerra in Ucraina ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro.

E’ emersa l’esigenza di rafforzare il ruolo dello Stato con l’implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate a ridurre i divari territoriali e consolidare l’unità del Paese. Invece, proprio i beni pubblici fondamentali dell’istruzione, della salute, del lavoro, della tutela dell’ambiente verrebbero soggetti a disintegrazione in un’Italia ridotta a un insieme di repubblichette.

Particolarmente inquietante sarebbe la frammentazione dell’istruzione che porterebbe un attentato all’unità spirituale del nostro Paese e all’eguaglianza dei cittadini, poiché la scuola, come insegna Calamandrei, è la principale istituzione dell’eguaglianza, il primo presidio della Repubblica istituito per “rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

A questo punto sorge la domanda: cosa si può fare per sventare questo pericolo che grava sulla Repubblica? Migliaia di cittadini si sono mobilitati con proteste e manifestazioni di massa, ma tutto ciò non basta. La miglior difesa è sempre l’attacco. Bisogna portare avanti un’iniziativa politica mirata a correggere le contraddizioni dell’avventata riforma del Titolo V, approvata dal centrosinistra nel 2001, per sventare i pericoli che nascono dall’interpretazione leghista di queste norme. Un gruppo di costituzionalisti, coordinati dal prof. Massimo Villone, ha messo a punto una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta alla modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione. I punti essenziali sono tre: la riscrittura dell’articolo 116.3; la rivisitazione dell’articolo 117, con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella esclusiva dello Stato; l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale.

La proposta lanciata dal coordinamento per la Democrazia costituzionale è stata fatta propria dai tre sindacati confederali della Scuola (Cgil, Cisl e Uil),  dallo Snals e dalla Gilda. La raccolta delle firme online è iniziata il 10 novembre (per firmare si può andare al sito del Cde: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it).

Si potrà anche firmare ai banchetti realizzati in sede locale. A differenza che nel passato, le leggi d’iniziativa popolare non sono destinate a restare nel cassetto, perché il nuovo regolamento del Senato impone che siano portate in aula in tempi ragionevoli. C’è quindi la possibilità concreta di aprire una contraddizione politica all’interno del palazzo, che potrebbe rendere molto più accidentato, se non bloccare del tutto, il progetto dell’Autonomia differenziata.

 

FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO Giovedì 17 Novembre 2022

 


La prima battaglia sia contro il ddl autonomia di Calderoli

 

di Alfiero Grandi

Elly Schlein ha detto parole nuove e impegnative per il Pd: “Ci opporremo con forza al disegno pericoloso di Calderoli sull’Autonomia regionale differenziata, che divide un paese che invece va ricucito”.

Ora debbono seguire comportamenti coerenti.

Va costruita un’opposizione vera, dei partiti, alla proposta di Calderoli che oltre al disegno di legge portato al Consiglio dei Ministri ha indicato le 500 competenze che le Regioni potrebbero pretendere.

Un supermercato per accrescere i poteri delle Regioni ricche, dimenticando che l’astensione dal voto in Lazio e in Lombardia è stata del 40%.

Occorre bloccare questo gioco dell’oca per non compromettere pilastri dell’unità nazionale e dei diritti dei cittadini come la scuola e la sanità – che hanno già seri problemi – o scelte economiche decisive come strade, ferrovie, autostrade, le politiche energetiche ed ambientali. Anche Confindustria ha compreso che semmai occorre una regia europea, non uno spezzatino per regioni delle scelte politiche nazionali.

Il contrasto alle proposte di Calderoli deve essere netto perchè anche a destra non tutti condividono di mettere a rischio l’unità nazionale.

Se il Pd farà seguire i fatti alle parole di Schlein verrà archiviato l’errore di Bonaccini, che all’inizio aveva flirtato con Fontana e Zaia.

Occorre ammettere, come ha fatto Rosi Bindi con coraggio, che le modifiche del titolo V volute dal centro sinistra nel 2001 erano un errore e hanno lasciato varchi in cui la Lega si è fiondata.

Il progetto Calderoli è in contrasto con la Costituzione perchè divide i cittadini rispetto ai diritti e ignora la solidarietà verso le aree più deboli che, guarda caso, è il punto più interessante del PNRR.

Quindi occorre chiudere i varchi che fanno dire ai leghisti che stanno attuando la Costituzione.

Qui è l’originalità della proposta di legge popolare costituzionale presentata dal C.D. C, tra i firmatari Villone, Viesti, Gianola ed altri 120 esperti.

La proposta di legge punta a riscrivere gli articoli 116.3 e 117, per superare il contenzioso (2200 ricorsi) che ha intasato la Corte costituzionale sui poteri concorrenti.

La proposta di legge stabilisce un principio nazionale di governo delle scelte sulle materie, stabilisce che la regione non può decidere in un patto a 2 con il Governo materie e risorse, che il parlamento deve pronunciarsi sempre come i cittadini, che vanno chiarite quali risorse verranno destinate alle aree più deboli.

Anche i Lep non sono un toccasana in sé, non a caso c’è chi li definisce diritti minimi.

Non si tratta di diritti minimi ma di livelli obbligatori e uniformi di prestazione nel territorio nazionale, bloccando il tentativo di alcune regioni di fuggire con la cassa lasciando le altre prigioniere della spesa storica e delle restrizioni di bilancio. La sanità è già sottofinanziata, con diritti diversi da regione a regione.

Le dichiarazioni di Meloni sull’interesse nazionale sono in contraddizione con la deriva simil secessionista della Lega.

La raccolta delle firme sulla Pdl è in corso e ha bisogno del sostegno di chi vuole fermare Calderoli e c. Restano meno di due mesi per arrivare a 50.000 firme e, in seguito, alla discussione in Senato (possibile grazie al nuovo regolamento) nel corso della quale ogni senatore dovrà schierarsi e pronunciarsi.

(pubblicato su: Il Fatto Quotidiano del 13.02.23)

LINK per sottoscrivere la PdL: http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/

 


Il testo delle modifiche proposte

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE DI INIZIATIVA POPOLARE

Iniziativa annunciata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 146 del 24-6-2022

I sottoscritti cittadini italiani propongono il seguente progetto di legge costituzionale di iniziativa popolare ai sensi dell’articolo 71, secondo comma, della Costituzione e della legge 25 maggio 1970, n. 352:
Modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione, concernente il riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3, con l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

 

Art. 1 – Modifica dell’articolo 116, terzo comma (autonomia differenziata)
L’art. 116, comma 3, della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e giustificate dalle specificità del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sentiti la regione e gli enti locali interessati, nel rispetto dell’interesse delle altre Regioni e dei principi di cui agli articoli 117 e 119. La legge è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. La legge promulgata ed entrata in vigore può essere sottoposta a referendum abrogativo secondo le modalità e con gli effetti previsti dalla legge di attuazione dell’articolo 75”.

Art. 2 – Modifica dell’art. 117, primo comma
L’art. 117, primo comma, della Costituzione è sostituito dal seguente:
“La potestà legislativa e` esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali. La legge dello Stato può disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva, comprese le materie disciplinate con legge regionale in attuazione dell’art. 116, terzo comma, quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. La legge regionale non può in alcun caso porsi in contrasto con l’interesse nazionale”.

Art. 3 – Modifica dell’art. 117, secondo comma
(potestà legislativa esclusiva dello Stato)
L’art. 117, secondo comma, della Costituzione è modificato come segue:
1. Nella lettera e), dopo le parole “sistema tributario e contabile dello Stato” sono aggiunte le parole “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;”.
2. Nella lettera i) è aggiunta in fine la parola “professioni;”.
3. Le lettere m), n) e o) sono sostituite dalle seguenti:
“m) determinazione dei livelli uniformi delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; tutela della salute e servizio sanitario nazionale; tutela e sicurezza del lavoro; scuola e università, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e universitarie, ricerca scientifica e tecnologica;
n) reti nazionali e interregionali di trasporto e di navigazione; porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale; reti e ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia;
o) previdenza sociale, previdenza complementare e integrativa;”

Art. 4 – Modifica dell’art. 117, terzo comma
(potestà legislativa concorrente Stato-Regioni).
L’art. 117, terzo comma, è sostituito dal seguente:
“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; assistenza ed edilizia scolastica; istruzione e formazione professionale; sostegno all’innovazione per i settori produttivi; assistenza e organizzazione sanitaria; assistenza sociale; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile a carattere regionale; governo del territorio; porti e aeroporti civili di rilievo regionale e locale; tributi regionali e locali; valorizzazione dei beni culturali e ambientali di rilievo regionale e locale e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”

 

 


 

La raccolta delle firme avviene anche on line. E’ possibile firmare anche dall’estero seguendo le indicazioni fornite all’indirizzo web del Coordinamento per la democrazia costituzionale

http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/

Il modulo è anche al seguente link:

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Approfondimenti al seguente link:

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Per approfondire:

Perché una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare

La previsione nell’art. 71 Cost. di una iniziativa legislativa popolare è rimasta a lungo sostanzialmente priva di effettività. Ma si registrano da ultimo due innovazioni significative.

Una riforma del regolamento Senato del 2017 (art. 74) ha definito con maggiore precisione l’iter del disegno di legge, in modo tale che ne risulti in principio assicurato l’approdo nel calendario di aula. Mentre questo ovviamente non garantisce l’esito, né impedisce il ricorso a pratiche dilatorie, ne risulta certamente rafforzata la possibilità che i soggetti politici siano sollecitati a prendere posizione, con una assunzione di responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica. Un siffatto risultato sarebbe particolarmente importante per un tema come l’autonomia differenziata, sul quale si è tentato fin dal primo avvio di stendere un velo di oscurità, che tuttora preclude una piena consapevolezza dei termini reali del problema.

Non è un caso che non si sia mai andati oltre audizioni in commissioni di merito o bicamerali, o risposte del governo in aula. Una discussione generale su un disegno di legge avrebbe ben altra visibilità e valenza informativa. Un riscontro concreto è dato dall’approvazione in prima lettura in aula il 3 novembre 2021 dell’AS 865, disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare recante l’introduzione nell’art. 119 della Costituzione del concetto di insularità.

Si aggiunge a queste considerazioni la introduzione da ultimo (d.l.77/2021) della firma online, che si applica anche all’iniziativa legislativa popolare.

Va però detto che nessuna riforma testuale della Costituzione potrà mai di per sé bloccare la deriva verso la frantumazione sostanziale del paese.

L’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei diritti sono difesi anzitutto con la battaglia politica. Ma una riforma mirata del testo costituzionale può creare condizioni migliori perché quella battaglia sia vinta.

Perché una riforma mirata del Titolo V

Sarebbero certamente facili, e forse di maggiore impatto mediatico momentaneo, proposte radicali, come ad esempio la abrogazione dell’intero Titolo V, e il ritorno al testo originario della Costituzione del 1948. Ma non si può realisticamente pensare di cancellare venti anni di applicazione del Titolo V, che hanno cambiato in profondità gli assetti politici e istituzionali, oltre che modellato gli apparati pubblici centrali e periferici. Una proposta in tal senso sarebbe di bandiera per alcuni, ma non avrebbe concrete possibilità di essere assunta nei processi politici e nelle sedi istituzionali.

Quello che si può realisticamente fare è individuare i punti di maggiore sofferenza e pericolo per l’unità della Repubblica evidenziati già nel dibattito sul regionalismo differenziato, e poi successivamente nell’esperienza della lotta alla pandemia. Una riforma chirurgica, orientata a correggere errori manifesti, ed a prevenire danni ulteriori.

Su quali punti concentrare la riforma

I punti essenziali sono tre: la riscrittura dell’art. 116.3; la rivisitazione dell’art. 117, con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella esclusiva dello Stato; la introduzione di una supremacy clause della legge statale.

3.1 Modifica dell’art. 3

3.1.1 Va anzitutto esplicitato che la diretta connessione con una specificità territoriale è requisito essenziale per la concessione di “forme e condizioni particolari” di autonomia.

Questa in realtà è la lettura corretta della norma già con il testo vigente. Basta a tal fine guardare al Titolo V in connessione con il principio di unità della Repubblica di cui all’art. 5. Nel modello generale l’art. 116.3 è norma derogatoria, che deve trovare una sua giustificazione. Ma tale lettura non è stata fin qui seguita. Le ipotesi note abbracciano un gran numero di materie a prescindere da qualsiasi connotazione territoriale, giungendo a una sostanziale decostituzionalizzazione e a uno stravolgimento del modello ex art. 117. Il tutto in base a una trattativa tra Governo e singole regioni tradotta in un’intesa.

3.1.2 È inoltre necessario riscrivere il procedimento di formazione della legge che concede la maggiore autonomia. Attualmente si prevede l’iniziativa della regione interessata e l’approvazione con legge a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa tra lo Stato e la regione

Gli effetti conseguenti sono:

  • a stretto rigore, il riconoscimento vede come soggetto principale la Regione, che può avviare il procedimento con l’iniziativa, e può chiuderlo con l’intesa.
  • La previsione di un’intesa introduce un principio pattizio sulla maggiore autonomia, ponendo la questione dei soggetti stipulanti – il governo e la singola regione – e soprattutto del ruolo della legge che approva la maggiore autonomia in base all’intesa raggiunta. Da qui le polemiche sulle trattative semi-segrete tra ministro/a delle autonomie e le regioni, e sul ruolo del parlamento, cui secondo un’opinione è riservata una mera presa d’atto, senza alcuna possibilità di incidere sui contenuti. È evidente la pericolosità di una procedura che potrebbe vedere una momentanea sintonia politica tra una o più regioni e il governo nazionale, favorevole al riconoscimento di particolari vantaggi a danno di altre regioni, anche considerando che la maggiore autonomia potrebbe comportare vantaggi anche sotto il profilo dei rapporti finanziari. Inoltre, poiché l’art. 116.3 configura una fonte rinforzata, secondo il principio generale anche la modifica del regime così introdotto andrebbe posta con il medesimo procedimento. Quindi, una regione beneficiaria avrebbe un sostanziale potere di veto su qualsiasi modifica successiva. Potrebbe essere difficile o impossibile, ad esempio, eliminare condizioni di vantaggio o privilegio in danno di altre regioni introdotte in base all’originaria intesa, qualora errate valutazioni iniziali o condizioni mutate consigliassero una correzione o un ripristino del preesistente. Va quindi superato il modello fondato sull’intesa, da ricondurre a parere della regione interessata nell’ambito del procedimento di formazione della legge di approvazione.
  • Come fonte rinforzata la legge approvativa dell’intesa rimarrebbe anche sottratta a un referendum abrogativo ex art. 75. Va introdotto invece la possibilità di un riscontro referendario, che offrirebbe alle altre regioni e ai loro cittadini la possibilità di esprimersi su una riforma che comunque in ultima analisi li tocca. Ciò è in particolare significativo in vista di richieste di autonomia fondate su referendum nei quali si è espressa la volontà di una frazione minima del popolo italiano, che tuttavia si vorrebbe cogente per il resto del paese.

È opportuno a tal fine prevedere sia: 1) un referendum sul modello dell’art. 138 per la legge costituzionale, giustificato perché la maggiore autonomia tocca gli assetti generali del rapporto Stato-regioni; 2) un referendum abrogativo sul modello dell’art. 75, che va esplicitamente menzionato perché diversamente potrebbe incorrere nelle esclusioni derivanti dalla giurisprudenza costituzionale, per la probabile assimilazione alle leggi tributarie e di bilancio, o alle leggi costituzionalmente necessarie.

3.1.3 Non è invece utile una legge-quadro, sul modello già proposto dall’allora ministro Boccia. In primo luogo, è dubbio che una legge comunque ordinaria possa vincolare alla propria osservanza intese approvate con leggi rinforzate che potrebbero sopravvivere o sovrapporsi a quanto stabilito nella legge quadro. Inoltre, non basta collegare l’approvazione di intese all’adozione di livelli essenziali di prestazioni (Lep), che non garantiscono uguaglianza ma al più pongono a un eccesso di diseguaglianze un argine come definito con legge da una maggioranza politica pro tempore, e certamente non pongono argini alla frantumazione del Un chiaro esempio è dato dai LEA (Livelli essenziali di assistenza, l’equivalente dei Lep in sanità) che non hanno certamente impedito la distruzione del Servizio sanitario nazionale.

3.2 Modifica dell’art. 117

La riscrittura parziale dell’art, 117 Cost. si mostra necessaria perché la riformulazione dell’art. 116.3 può ridurre il rischio di un’autonomia differenziata lesiva dell’unità della Repubblica, ma di per sé non esclude che a siffatte forme di autonomia si possa giungere anche sulla base del dettato dell’art. 117 oggi vigente, senza alcun ricorso all’art. 116.3. A tal fine si prospetta l’opportunità di una revisione del catalogo del riparto di competenze, e l’introduzione di una clausola di supremazia per la legge statale.

3.2.1 Revisione del riparto di competenze.

Vengono spostate dal catalogo delle competenze concorrenti di cui all’art.117.3 all’elenco della potestà esclusiva statale ex art. 117.2 alcune materie che si ritengono strategiche per l’unità del paese. In primo luogo la tutela della salute, per ripristinare in prospettiva un servizio sanitario effettivamente nazionale, che la pandemia ha ampiamente dimostrato non più sussistente. Si aggiunge la scuola, unitamente all’università e alla ricerca, la cui disciplina uniforme è in vario modo strategica per l’unità della Repubblica. Ancora si aggiungono materie relative alla infrastrutturazione materiale e immateriale, rilevanti sotto il profilo di diritti individuali, dell’eguaglianza, e dell’efficienza complessiva del sistema-paese.

Ovviamente, l’inclusione nel catalogo delle potestà esclusive non comporta di per sé il raggiungimento di obiettivi di eguale tutela dei diritti e di perseguimento dell’eguaglianza. Questo dipenderà in ogni caso dalla disciplina che il legislatore statale adotterà, e dalle politiche conseguentemente messe in atto. Ma basterà ad impedire a singole regioni di perseguire obiettivi di diversificazione territoriale sulla base del riparto di competenze vigente. Si potrà ricordare a tal fine il proposito, espresso dai presidenti delle regioni capofila per l’autonomia differenziata, di voler giungere a una regionalizzazione della scuola anche a prescindere da un accordo sul tema dell’autonomia differenziata. Si potrà altresì ricordare che nelle bozze di intesa che hanno avuto in passato circolazione si ipotizzava la regionalizzazione di ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, ambiente, beni culturali di primario rilievo e altro ancora.

3.2.2 Introduzione di una clausola di supremazia/salvaguardia

Uno degli errori commessi con la riforma del Titolo V del 2001 fu la cancellazione dell’interesse nazionale come limite generale nel riparto delle competenze. Non fu colta la fondamentale aporia che si introduceva nel testo, dal momento che una Repubblica una e indivisibile (art. 5) non può non legarsi strettamente a un interesse nazionale. Tale cancellazione fu essenzialmente dovuta alla censura avanzata da una parte dei costituzionalisti dell’epoca – quelli favorevoli ad una ampia regionalizzazione – all’interesse nazionale utilizzato non come limite alla legislazione regionale, ma come fondamento per una potestà legislativa statale quasi considerata extra-ordinem. Questo errato assunto fu in parte superato con l’art. 120 del Titolo V riformato e il richiamo all’unità giuridica ed economica della Repubblica, senza però cogliere la contraddizione implicita nel prevedere un limite solo per i poteri sostitutivi del governo, e quindi per ipotesi quando il danno all’unità fosse in atto o fosse già avvenuto. Essendo invece ovvia l’opportunità di prevedere un potere del legislatore statale di definire in termini generali ex ante i limiti funzionali all’esigenza di unità, in modo da prevenire il danno.

Una parziale riconsiderazione si trova ora nell’AS 1825 (Parrini-Pinotti) presentato nella XVIII legislatura, che qui si riprende nella sua formulazione di base nell’art. 117.1, con qualche integrazione. Si aggiunge una esplicita menzione dell’applicabilità della clausola di supremazia per le leggi regionali eventualmente adottate in attuazione dell’art.116.3, che si potrebbero ritenere non pienamente assimilabili alla comune legislazione regionale. Altresì, per il caso che il legislatore statale non attivi la clausola di supremazia, si prevede come limite generale per la legge regionale l’interesse nazionale e l’interesse di altre regioni, limiti che potrebbero farsi valere anche in assenza di esplicita attivazione legislativa statale della clausola di salvaguardia.